sabato 26 maggio 2018

La propaganda «anti-sette» ha realmente una finalità di lucro?

Torniamo su uno degli ultimi temi trattati, riprendendo il discorso cominciato dal nostro Mario Casini appena una settimana fa nel suo post su Luigi Corvaglia del CeSAP e il movente economico degli «anti-sette».

Sono trascorsi solo pochi giorni dalla conferenza di cui relazionava quel post, ed ecco pervenire una inequivocabile conferma, tanto spettacolare quanto inquietante, che la riflessione di Casini era sostanzialmente sensata e ben motivata.

Tale conferma arriva mediante l’ennesimo articolo di grana grossa, scritto da uno dei (soliti) giornalisti del circuito «anti-sette», o per meglio dire dalla sua «metà»; nello specifico, parliamo di Flavia Piccinni, compagna del Carmine Gazzanni di cui si parlava in un post precedente (ad esempio qui).


Classe 1986, da tempo la Piccinni sta cercando di affermarsi come scrittrice e reporter assieme al meglio avviato consorte, che lei stessa ha trionfalmente ed amorosamente celebrato in Gennaio scorso quando si è qualificato come giornalista professionista (dopo anni – va detto – di articoli di qualità più che discutibile smerciati qua e là per la rete ai danni delle piccole minoranze spirituali da sempre nel mirino degli «anti-sette» militanti):


Gazzanni e Piccinni hanno collaborato, fra le altre cose, alla realizzazione del controverso e ampiamente contestato servizio televisivo «anti-sette» di RAI 3 dal titolo «Io ci credo», del quale abbiamo parlato in dettaglio in precedenza:


«Tanto orgoglio e soddisfazione» per aver contribuito alla disinformazione degli italiani con una trasmissione che si è rivelata un completo fiasco in termini contenutistici ed è stata contestata non solo da esperti di movimenti religiosi e da uomini di cultura, ma addirittura dagli stessi «anti-sette»!

Perciò, ci coglie un dubbio: che la «soddisfazione» cui accenna la Piccinni sia da interpretarsi in termini finanziari? Per essere schietti: quanto denaro avranno incassato i due romantici giornalisti per una «consulenza» così «qualificata»?

Un interrogativo con il quale tuttavia abbandoniamo tale digressione e torniamo di buona lena al filone principale di questo post.

Il 18 maggio scorso esce nelle edicole il settimanale «Gioia», che con tanto di richiamo in prima pagina lancia uno dei soliti titoloni allarmistici:


I concetti sono i soliti della trita e ritrita propaganda «anti-sette»: guai a vestirsi in modo anticonformista, guai a recitare preghiere poco conosciute, guai a non seguire le ritualità di regime o a cercare una filosofia distinta da ciò che ci hanno sempre insegnato. È pericoloso, perché si finisce per essere «manipolati», dopo di che non si può più uscirne, ecc.

Come al solito, costoro ci vorrebbero tutti vestiti in divisa e allineati per fare il saluto romano al duce, come sembrava voler intendere un’esponente «anti-sette» del GRIS di cui abbiamo parlato in precedenti post sia qui che qui. D’altronde, si sa, il controverso «reato di plagio» per il quale tanto costoro battono la grancassa, faceva parte dell’ordinamento giuridico del «ventennio».

Saremo forse un po’ troppo sarcastici, ma il resto dell’articolo non aiuta certo a far salire il livello della critica.

Vediamo alcuni passaggi:


Certamente delle righe tanto patetiche (nel senso del «pathos») potranno strappare qualche lacrima al lettore che non conosce l’argomento; certamente dev’essere a quell’audience che si rivolge la Piccinni. I meglio informati, però, potrebbero solo sorridere (con amarezza) riconoscendo i fatti concreti dietro i proclami.

Le «persone e specialisti» cui accenna vagamente la giornalista sono questi, che dalla sua pagina Facebook lei stessa racconta di avere incontrato alle porte di Bari assieme al «suo» Gazzanni all’inizio di febbraio di quest’anno:

 


Lorita Tinelli sulla sinistra nella prima foto, Toni Occhiello nella seconda: ecco gli «esperti» di cui va parlando, talmente «esperti» da non essere in grado (la prima) di definire in maniera chiara e lineare che cosa sarebbe una «setta», né di adoperare (il secondo) una dialettica civile ed educata per rapportarsi con gli altri. Invece che confrontarsi con chi muove loro delle critiche, costoro reagiscono con scherno e tentativi di intimidazione, come s’è più volte (e da più parti) riferito in precedenza.

Fra gli «esperti» interpellati dalla Piccinni c’è anche Patrizia Santovecchi: un’altra figura dal passato controverso, della quale abbiamo parlato più in dettaglio in un precedente post.

Tinelli, Occhiello e Santovecchi sono «anti-sette» tutti accomunati da una stessa fondamentale caratteristica: sono tutti direttamente e profondamente influenzati da storie di apostati, oppure sono loro stessi apostati, ovvero persone che hanno professato una determinata fede per un certo tempo e poi l’hanno abbandonata

Per spiegare di che genere di individuo stiamo parlando, citiamo proprio uno dei pochi passaggi del succitato servizio di RAI 3 che, culturalmente parlando, si salva rispetto al resto delle sequenze perché riporta dei pareri autorevoli (qui il prof. Silvio Calzolari, orientalista e segretario di quella «federazione per la libertà di credo» citata dalla Piccinni):


Nel tentativo di conferire un po’ di ufficialità alla sua linea di pensiero, la Piccinni chiama in causa altri personaggi mediatici, prima fra tutte naturalmente Michelle Hunziker, la cui superficialità è stata messa in evidenza non solo sul nostro blog per la parte attinente ai nuovi movimenti religiosi, ma anche altrove per l’attendibilità alquanto discutibile della sua ricostruzione dei fatti.

C’è spazio anche per i due giornalisti «anti-sette» Stefano Pitrelli e Gianni Del Vecchio (dei quali si è detto qui e qui), che con un’ondata di autoreferenzialità arrivano a fregiarsi di essere riusciti, grazie al loro libro, a distogliere dalle loro scelte un numero non meglio precisato di devoti di movimenti religiosi. Non dicono quante persone, invece, avendo letto il loro testo o le relative recensioni, si siano convinti sempre più a portare avanti la propria fede oppure si siano interessati a questo o quel gruppo spirituale. Ma in ambo i casi siamo nell’ambito delle speculazioni, dal momento che nemmeno i due giornalisti «anti-sette» portano alcun dato verificabile e circostanziato.

Dovendo riempire la colonna, la Piccinni arriva addirittura a «riesumare» Cecilia Gatto Trocchi, una sociologa che, dopo anni di militanza contro i nuovi movimenti religiosi al fianco del GRIS e di altri «anti-sette», nel luglio del 2005 morì suicida a 66 anni dopo un periodo di conclamata instabilità mentale.

Emblematico un riquadro laterale: sapendo che nel nostro blog abbiamo cominciato a smentire (con fatti e documenti) certe favole «anti-sette», la Piccinni porta ad esempio il controverso caso di Waco (del quale pure ci occuperemo) e non parla, invece, del Tempio del Popolo, una storia solitamente molto gettonata da costoro.

A conti fatti, ben lungi dall’apportare dei contenuti propri, tutto l’articolo della Piccinni risulta essere una réclame degli «anti-sette» e dei loro «prodotti editoriali» o «servizi personalizzati»: in concreto, una sorta di spot pubblicitario finalizzato a portare clienti ai suoi amici psicologi come Lorita Tinelli o Luigi Corvaglia, piuttosto che a creare un interesse (e quindi una futura domanda commerciale) per il libro che sta scrivendo assieme al suo compagno Gazzanni, o per quello della Hunziker, o anche per le prossime trasmissioni televisive che sicuramente verranno imbastite sul tema dei «culti distruttivi».

Infatti, dulcis in fundo, ecco il «gran finale»:


Ci asteniamo dal commentare i virgolettati della Tinelli riportati in questo riquadro, perché lo fanno già egregiamente da sé, rimanendo sulla stessa linea dialettica della pseudoscienza già relazionata in post precedenti come questo o questo. Ci soffermiamo invece sulla chiusa, in cui vengono appunto pubblicizzate le associazioni facenti parte della rete «anti-sette» italiana.

Diventa, insomma, sempre più evidente che gli «anti-sette» stanno fomentando, ormai da anni, una campagna mediatica fondata su tesi di grande superficialità, su resoconti di dubbia attendibilità e in generale su una pseudoscienza che usurpa la sociologia delle religioni, sfruttando la credulità popolare e generando allarme, allo scopo di generare profitti per una ristretta cerchia di persone, vuoi con prodotti editoriali vuoi con prestazioni professionali a pagamento. Forse non sempre tale attività genera utili finanziari in senso stretto, ma comunque, porta inconfutabilmente agli esponenti «anti-sette» un ritorno di immagine, una certa reputazione e una visibilità mediatica che, di conseguenza, li conduce a una qualche forma di guadagno personale, per loro altrimenti irrealizzabile.

Va anche rilevato che sono sempre gli stessi nomi e sempre gli stessi gruppi a portare avanti la campagna propagandistica contro le minoranze religiose «non convenzionali» e a dirigere in forma organizzata le attività infamanti descritte in questo blog.

Ecco dunque il vero movente degli «anti-sette»: il lucro.

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