lunedì 9 ottobre 2017

STORIA / 1. Un po’ di background sull'attendibilità dei gruppi «anti-sette»

Un’attendibilità autoreferenziale e, di fatto, più presunta che possibile. La litigiosità dei gruppi «anti-setta», una loro caratteristica tanto costante quanto emblematica, lascia spazio a dubbi e perplessità profondi circa una loro inattendibilità di fondo. Come minimo, si può dire che abbiano un DNA fazioso (se non addirittura facinoroso), incline al contrasto a tutti costi e caratterizzato dalla smania di protagonismo.



La storia dei gruppi «anti-sette» in Italia dalla metà degli anni 1990 in poi è costellata di episodi che, se non fosse per la serietà e gravità delle tematiche da loro trattate, si potrebbero definire risibili quando non propriamente spassose o divertenti.

La storia di questi gruppi pone in evidenza come alcuni di loro cerchino di mettere in atto delle tecniche da loro stessi definite «distruttive» quando però riferite a movimenti che essi ritengono non compatibili con le proprie vedute.

Tale infatti è la storia, per esempio, del CeSAP di Bari e di quelle che, a quel tempo (fra il 1998 e il 2005 all’incirca), erano le sue filiali in Emilia-Romagna e in Friuli Venezia-Giulia.

Fino ai primi del 2006, Silvana Radoani è infatti collaboratrice attiva del “Centro Studi sugli Abusi Psicologici” (sigla: CeSAP) e gestisce la sezione emiliana del gruppo (tale era, sebbene costituita come associazione autonoma e a sé stante) con il relativo sito Internet http://www.cesap-emilia.net/ (ora defunto).

A divorzio ormai annunciato, fra Silvana Radoani e Lorita Tinelli (storica presidente del CeSAP pugliese) si registrano i primi litigi. Oggetto del contendere è (per lo più) la proprietà di idee e iniziative contese fra le due, come le «mostre sulla magia», il testo «Pericolose ossessioni», ecc. Oltre alle scaramucce, volano anche accuse di «appropriazione indebita» o di plagio.





Sempre a Marzo 2006, qualcosa di simile avviene per il “CeSAP Friuli” (diretto da Cristina Caparesi), che da sezione friulana del gruppo con sede a Bari, si costituisce con la medesima sigla ma con una denominazione differente (“Consulenza e Studi sugli Abusi Psicologici”). Improvvisamente, dalle pagine del suo sito la Caparesi dichiara che questo nuovo ente «non è in alcun modo collegato con Ce.S.A.P. (Centro di Studi Abusi Psicologici)». Un’asserzione che, come minimo, poteva lasciare incuriositi se non addirittura perplessi.

Per inciso, oggigiorno la qui citata Cristina Caparesi è una delle due rappresentanti italiane della più grossa organizzazione «anti-sette» del mondo occidentale, ossia la americana ICSA, International Cultic Study Association (fu American Family Foundation o AFF; per la cronaca, alla AFF viene attribuita la pratica, controversa e discutibile, della «deprogrammazione»). L’altra rappresentante italiana è Raffaella Di Marzio.





Tutto ciò quando, fino a pochi mesi prima, sia Radoani sia Caparesi comparivano come figure di primo piano nel direttivo del CeSAP, dopo che (in Giugno 2005) la stessa Radoani aveva trionfalmente annunciato in Internet l’apertura delle due sedi in Emilia e in Friuli, sottolineando che  «il tutto» partiva «dal CeSAP nazionale».





Addirittura, qualche tempo più tardi, Lorita Tinelli arrivava a pubblicare, sul sito del CeSAP da lei gestito, un chiarimento che suona così: «Negli ultimi periodi è accaduto che la sede del CeSAP venisse contattata da chi chiedeva conferma sulla relazione con il CESAP-FRIULI e se quest'ultima potesse essere considerata una sede regionale dell'Associazione Nazionale (...) Il caso odierno si potrebbe benissimo riconoscere come UNO SPIACEVOLE CASO DI OMONIMIA. (...) che l'acronimo CeSAP, appartiene dal 1999 all'associazione nazionale, è marchio registrato in Italia e il CeSAP Nazionale ha inoltre  depositato una dichiarazione di protezione sin dal 2005. Pertanto il CeSAP, CON SEDE LEGALE IN NOCI (BA), SI DICHIARA ASSOLUTAMENTE ESTRANEO AD OGNI INIZIATIVA RICONDUCIBILE A CODESTA ALTRA ASSOCIAZIONE».

Ma il CeSAP non era nuovo a una scissione di questo genere.

Infatti, poco più di un anno prima del divorzio fra il CeSAP e le sue due sezioni dell’Emilia e del Friuli, qualcosa di molto simile era avvenuto fra Lorita Tinelli e Patrizia Santovecchi, un’altra attivista «anti-sette» che, da apostata dei Testimoni di Geova, imbracciò in seguito le armi della propaganda contro i gruppi religiosi alternativi, da lei particolarmente defini\ti “culti distruttivi”.






Nel giro di qualche anno (prima metà del 2004), Patrizia Santovecchi venne disconosciuta dal CeSAP e abbandonò anche, non senza qualche tumulto, un altro gruppo di apostati dei Testimoni di Geova con i quali aveva anche fondato un’associazione denominata “LiberaMente”.





Finito l’idillio con il CeSAP di Lorita Tinelli, la Santovecchi fondò una propria associazione, che denomina “Osservatorio Nazionale sugli Abusi Psicologici” con sigla “ONAP” (sic!): parrebbe quasi che il nome non fosse stato scelto proprio a caso... quasi come per l’associazione fondata da Silvana Radoani agli inizi del 2006, denominata “ASAAP”, ovvero “Assistenza e studi sugli Abusi Psicologici” (recentemente rinominata “Assistenza e Studio Anti Abuso Psicologico”), con un logo che inevitabilmente richiama, in certi componenti, quello originale del CeSAP.





E Lorita Tinelli non dovette gradire l’atteggiamento di Patrizia Santovecchi, se in Luglio 2004 inviò a tutti i suoi iscritti un messaggio in cui dichiarò: «Il caso Santovecchi è chiaro e lampante, e al momento al vaglio di organi competenti (compreso quello giuridico)».

Insomma: un fatto peculiare è che gli apostati di movimenti religiosi, quali sono spesso gli iniziatori di gruppi «anti-sette», finiscono sovente per diventare apostati degli stessi gruppi «anti-sette» che hanno fondato o ai quali hanno dato per un certo periodo il loro sostegno.

Addirittura, vi sono svariati casi (come quello riportato nella pagina seguente) in cui degli attivisti «anti-sette» vengono accusati di adoperare proprio i metodi che essi attribuiscono alle «sette». Qui si parla di Achille Lorenzi, uno dei principali oppositori dei Testimoni di Geova in Italia.





E tutto questo senza contare i «siti contro» che si sono visti di quando in quando nella costellazione dei gruppi «anti-setta». Si tratta di siti Internet denigratori o (anche pesantemente) satirici, addirittura vantati da questo o quell’altro propagandista, per dimostrare la propria potenza di fuoco.

A cominciare da quello apparso contro Patrizia Santovecchi (scomparso dalla Rete nell’arco di qualche giorno), tutto un “peste e corna” su di lei.





Per passare poi a «Radinette», il sito «anti-Radoani»; ogni commento è decisamente superfluo.






Ecco, dunque, la serietà dei gruppi «anti-sette» che combattono la «manipolazione mentale» (alias «plagio») perpetrata dai «culti distruttivi».

Facezie a parte, la serietà delle associazioni di propaganda elencate prima è anche drammaticamente messa in dubbio dalla quantità di dati statistici conflittuali e di cifre contrastanti che essi diffondono, come verrà trattato prossimamente in un’altra sezione di questo blog.

Ad esempio, mentre le statistiche ufficiali (per esempio, quelle diffuse dal Ministero dell’Interno nel corso del Convegno del Regina Apostolorum del 12 Dicembre 2007) fornivano determinate cifre, Giuseppe Bisetto del GRIS (il cattolico «Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-Religiosa» noto anche con la precedente denominazione di «Gruppo di Ricerca e Informazione sulle Sette»), di Treviso, nel 2005 rilasciò delle dichiarazioni assai più allarmanti, cioè nell’ordine delle «migliaia di adepti» di non meglio specificate «sette». Un dato che non collimava con quello reso dal Ministero.

Eppure la senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati (oggi membro laico del CSM, Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno dei togati di tutta Italia), presente allo stesso convegno di Roma del Dicembre 2007, citando il più volte contestato rapporto del Ministero dell’Interno del 1998, in un punto del suo discorso parlò di «137 gruppi e 85.000 aderenti», poco dopo menzionò dei «dati non ufficiali» secondo per cui si sarebbero dovuti annoverare «dagli 800 ai 1.000 gruppi» (di nuovo, senza ulteriori precisazioni) con «1 milione di adepti» e «un giro d’affari di 100 miliardi delle vecchie lire l’anno».

Mantenendo valido il dato dei «1.853 casi trattati» fornito nelle statistiche di Don Aldo Buonaiuto (di cui pure si parlerà in questo blog) nel corso dello stesso prestigioso convegno, assieme al dato di «1 milione di adepti» (dichiarato appunto dalla senatrice Casellati), si ha un’ulteriore riprova dell’inesistenza del «problema sette»! Infatti, 1.853 casi su 1.000.000 di persone corrispondono a poco più dello 0,18% del totale! Perciò, anche volendo accettare per valide le discutibili statistiche diffuse in quel convegno, si può dedurre che almeno il 99,78% degli aderenti a gruppi religiosi sono ben contenti della loro scelta.

Eppure, proprio la senatrice Casellati era in quel periodo un’attiva collaboratrice di alcuni gruppi di propaganda «anti-sette» tanto da proporre una legge per la reintroduzione del controverso «reato di plagio» e farne réclame sui media.





Sempre in quel convegno di Roma, Giuseppe Ferrari (segretario nazionale del succitato GRIS), menzionò il Rapporto del Febbraio 1998, specificando che «le cifre sono molto più alte»: questo, a suo dire, «perché il Ministero si limitò a censire i gruppi più pericolosi e problematici», mentre il fenomeno reale vede «600 organizzazioni e coinvolge il 2-3% della popolazione italiana». Aggiunse però il Ferrari che «sebbene questi numeri non abbiano rilevanza scientifica, il fenomeno ha rilevanza mondiale e quindi occorre un intervento da parte delle istituzioni».

Ergo: anche in questo caso l’attendibilità degli «anti-sette» sembra proprio far acqua da tutte le parti. Infatti, se la matematica non è un’opinione, 85.000 aderenti di 137 gruppi (fonte: Ministero) corrisponderebbero a 600 gruppi e circa 370.000 aderenti (fonte: Ferrari, GRIS). Una cifra, quest’ultima, che contrasta con quelle fornite dal suo collega Buonaiuto. Inoltre, 1.853 casi su 370.000 aderenti (sempre ammesso e non concesso che questi numeri siano validi, cosa dubbia come s’è visto) rappresenterebbero una percentuale dello 0,5%, dunque con uno scarto (rispetto a chi non ha nulla da dire sul movimento cui si è unito) di ben il 99,5%!

L’urgenza di una così animosa, nutrita, costosa e drammatica campagna «anti-sette» risulta dunque infondata, stando agli stessi numeri forniti dai gruppi di propaganda.


Nei prossimi post si dirà ancora di più della litigiosità degli «anti-sette» e di come le loro beghe di cortile hanno causato enormi sprechi di denaro dei contribuenti per azioni legali assurde iniziate con querele, citazioni ed esposti reciproci, finalizzate solo a mettere a tacere le controparti o le voci avversarie.

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